Perché i consumatori hanno perso fiducia nell’industria alimentare
Attualmente, il consumatore ha scarsa fiducia nei produttori di alimenti per due ordini di fattori. Il primo è basato sulla ricezione di messaggi contraddittori da parte dei responsabili dell’industria, del governo, da parte degli esperti, come, ad esempio, il vedere prodotti ritirati dal mercato a seguito di problemi di sicurezza, l’essere testimoni di inquinamento ambientale, di un’esagerata e sollecita promozione al consumo di prodotti dubbi e anche, talvolta, della rivelazione di corruzione e di comportamento disinvolto di membri dell’industria alimentare e degli organi di controllo.
Il secondo deriva dall’avere capito la natura del contratto tra l’acquirente di un prodotto e chi produce e vende, contratto che si stipula tra agenzie aventi diverse finalità.
Il consumatore cerca principalmente cibi semplici, nutrienti e sani; il produttore ed il venditore devono invece rispondere agli azionisti, garantendo una buona rendita del capitale investito. Devono anche tenere conto della concorrenza, ma anche ridurre al minimo i costi di produzione, portare al massimo la quota di mercato, e creare nel consumatore una continua domanda.
Può sembrare cinico, ma dall’esame degli atti che specificano gli scopi e gli obiettivi di un’azienda mancano completamente gli aspetti etici.
I consumatori saggi sono quelli che sviluppano un salutare sospetto su quello che viene venduto. I consumatori non possono contare sul fatto che la legge li protegga, perché la legge potrebbe essere di difficile applicazione o addirittura non applicata. Non possono sperare che la scienza degli alimenti li protegga, perché può essere inadeguata o scarsamente applicata. I consumatori sono gli oggetti di campagne di marketing molto costose, poco regolate e raramente davvero informative. I consumatori, inoltre, ritengono di essere quasi sempre esclusi dalle discussioni da cui originano le leggi, che indirizzano la scienza, o controllano il marketing, nonostante l’esistenza di diverse associazioni di consumatori.
Qui riassumiamo alcune delle esperienze che hanno ridotto la fiducia nelle leggi, nelle autorità e nell’informazione veritiera ed hanno condotto il consumatore a sentire che il contratto che stipulano con chi produce o vende cibo è fortemente sbilanciato a suo sfavore.
Occorre sottolineare che gran parte di questo lavoro si riferisce alla realtà britannica e internazionale, ma come è evidente a tutti, ormai qualsiasi episodio che coinvolga la salute e l’ambiente esce dai confini nazionali, creando allarmi spesso esagerati e aggravando il disorientamento dei consumatori. La mancata corretta informazione, il comportamento spesso contraddittorio, non tempestivo e fermo delle istituzioni, aggravano la sfiducia dei consumatori nell’industria e nelle istituzioni stesse, in quanto agiscono su un rapporto già minato da quanto andremo ad esporre.
Perdita di fiducia nelle politiche di produzione alimentare
La OMS inizia uno studio sul problema cibo con la frase "La possibilità che quello che la gente ama mangiare possa essere pericoloso per la salute è una preoccupazione recente nel corso della storia umana".
Il cibo è, forse, secondo solo al sesso o al denaro nell’interesse di molte persone e non è sorprendente che i consumatori si allarmino facilmente se gli viene detto che il cibo che desiderano può nuocere.
Ad esempio, la BSE e gli episodi di tossinfezione da E coli 0157 hanno molto risalto sulla stampa, ma la perdita di fiducia dei consumatori nella moderna fornitura di cibo si estende molto al di là delle 94 diagnosi della nvCJD correlata a BSE in UK e dei 18 morti da E coli 0157 in Scozia.
Nell’Europa occidentale si è raggiunta, negli ultimi secoli e specialmente nell’ultima metà del 900, per la prima volta nella storia, la capacità di fornire alla popolazione con gli alimenti il minimo necessario di energia e il minimo di nutrienti essenziali per assicurare la crescita e lo sviluppo, eliminando la maggior parte delle malattie da carenza. Ma una nutrizione ottimale non consiste solo nella fornitura di un cibo con queste caratteristiche, perché negli ultimi decenni si è capito che le abitudini alimentari errate possono influenzare lo sviluppo di parecchie tra le più importanti malattie croniche (malattie cardiovascolari, certi tipi di cancro, malattie del colon e dello stomaco, carie dentaria, osteoporosi, diabete e molte altre), spesso importanti cause di morte prematura negli stati membri della UE.
Come continua il documento OMS: "Nei paesi occidentali ed in quelli in via di sviluppo, il modello dietetico associato all’aumento del rischio di malattie croniche è caratterizzato da un alto consumo di alimenti ricchi in zucchero e di prodotti ricchi in grassi saturi e colesterolo, a scapito di una dieta contenente anche carboidrati complessi, come gli amidi, e fibra grezza".
In genere, la dieta consigliata è caratterizzata da un consumo frequente di verdura, frutta, cereali e legumi e contrasta nettamente con le diete che traggono significative quantità di energia da prodotti lattiero caseari, da carni grasse e da zuccheri raffinati.
Ad esempio, il governo UK ha raccomandato un cambiamento nella dieta tipica della nazione, chiedendo con urgenza ai consumatori di limitare la loro introduzione di grassi, specialmente saturi, e di consumare quantità di carboidrati complessi e fibre sotto forma di cibi amidacei, frutta e vegetali.
Queste raccomandazioni pubbliche d’ordine sanitario hanno avuto scarso effetto, perché gli adulti trovano difficile attenersi a tutte le raccomandazioni nutrizionali per diete salubri.
Politiche antinutrizionali
Non deve stupire che non si riescano a seguire i consigli alimentari, poiché sono le politiche agricole a determinare quali alimenti siano portati sul mercato ed i metodi di promozione delle vendite delle aziende assicurano il loro consumo.
Dopo la II guerra mondiale le politiche governative sono state indirizzate per necessità all’aumento della produzione agricola.
Esse erano basate sulla relazione tra la scarsa disponibilità di cibo e l’insufficiente crescita e salute dei bambini negli anni ‘20 e ‘30 e sulla convinzione che la popolazione intera avrebbe dovuto avere accesso a prodotti relativamente costosi, quali quelli derivati dal latte e dalla carne.
Tali politiche, progettate per dare sviluppo ai prodotti agricoli, specialmente quelli d’origine animale, non erano limitate a UK o all’Europa, ma qui ebbero grande successo. I mercati dei prodotti garantiti dai governi crearono dagli anni ‘50 agli anni ‘80 eccedenze imbarazzanti ed ampie, tali da richiedere lo stoccaggio o la distruzione. Grandi quantità di frutta e vegetali furono sotterrati nei campi, grandi quantità di latte furono trasformate in latte in polvere, enormi quantità di vino convertite in alcool industriale, mentre le eccedenze di grano, carni bovine, burro e zucchero furono stoccate, vendute a basso prezzo a trasformatori o al terzo mondo o regalate ad opere benefiche.
Negli anni ‘80, il mercato subì una distorsione, con la vendita di prodotti a prezzo fissato e al disopra della loro reale quotazione nel mercato mondiale; di conseguenza i consumatori della UE dovettero spendere di più.
Queste distorsioni del mercato sono state ampiamente discusse e criticate dalle associazioni dei consumatori.
Inoltre il cibo in eccedenza è stato fatto rientrare in altri tipi di alimenti, come il latte, addizionato a vari prodotti dolciari ed altri prodotti grassi. La disponibilità di burro in eccedenza sovvenziona in effetti il prezzo dei prodotti grassi sul mercato.
In seguito, UE ha finanziato 67,3 milioni ECU per promuovere il consumo di latte e di formaggio nel 93/94, ancora nel 94/95 e altri 10 milioni ECU per la promozione in TV di latte intero come alternativa alle bevande gassate.
Contemporaneamente le eccedenze di frutta e vegetali erano distrutte o date agli animali o convertite ad alcool industriale; non c’è mai stato un piano di distribuzione alle scuole di vegetali e frutta e nessun kg dei prodotti ritirati dal mercato venne devoluto alle scuole. Cioè nella UE sovrapproduzione di grassi significa sovraconsumo, mentre per i vegetali sovrapproduzione significa distruzione, malgrado il loro consumo sia al di sotto del livello necessario.
Le politiche UE appaiono quindi impegnate a promuovere diete non idonee.
In Italia, ad esempio, in seguito a principi non ben chiariti, fu deciso a livello nazionale di appaltare le fornitura delle derrate alimentari nella ristorazione pubblica (scuole, ospedali) sulla base del prezzo più basso, con il risultato di una caduta della qualità e del potere nutritivo.
Produttori di alimenti contro le politiche per la salute
Nel 1988 un altro episodio illuminò i consumatori sulle politiche alimentari del governo UK.
C’era preoccupazione per l’aumento di tossinfezioni alimentari: da 14.000 casi nel 1982, a 24.000 nel 1986, a 29.000 nel 1987, in gran parte causate da un ceppo di Salmonella (S. enteritidis pt 4). Nel novembre ‘87 il dipartimento della sanità riferì al MAFF la prevalenza dell’intossicazione da questo ceppo e la probabile relazione con le uova. Nel gennaio 88 fu definito in una riunione con il capo dei laboratori del servizio sanitario pubblico che il 59 % dei polli di supermercato e il 40% dei campioni di uovo liquido intero erano contaminati da S. enteritidis pt4. Occorsero 10 mesi prima che il governo emanasse un avviso ai produttori di uova di prendere provvedimenti, ritardo criticato da un comitato della Camera dei Comuni e attribuito a mancanza di zelo e al rifiuto da parte dei produttori di accettare le conseguenze di fronte all’evidenza. Né si fece nulla per perseguire i mangimisti, nonostante un quarto degli impianti fosse contaminato da Salmonella.
Nel dicembre ‘88 il ministro per la salute affermò pubblicamente che la causa era dovuta alle cattive pratiche di allevamento avicolo; per questo motivo, invece di essere sostenuta, dando priorità alla salute umana e ponendo attenzione alle condizioni di allevamento, fu attaccata e allontanata dal suo posto. In più fu approvato il pagamento di un risarcimento agli allevatori avicoli per l’abbattimento degli animali infetti, disorientando i consumatori, convinti che la loro salute valesse più del profitto degli allevatori.
In Italia l’infezione giunse più tardi con l’introduzione di riproduttori infetti e si impiegò molto tempo per eradicare questa infezione del pollame. Negli anni scorsi, Salmonella enteritidis era al primo posto come causa di infezione da consumo di uova e la presenza del germe coinvolse altre preparazioni come, ad esempio, il tiramisù, provocando l’erronea convinzione che la causa fosse il mascarpone.
Questo episodio danneggiò la produzione di questo particolare tipo di formaggio per diverso tempo, anche dopo che la vera causa fu divulgata, a causa della sfiducia indotta nei consumatori.
Tornando alla Gran Bretagna, anche con gli eventi dei primi anni della epidemia di BSE si riconfermò l’impressione che le priorità erano dominate dal commercio. Dai primi rapporti degli esperti che valutarono il rischio per la salute umana, fu accertata l’esistenza di un possibile rischio teorico, non quantificabile, che la malattia potesse attraversare la barriera di specie e colpire l’uomo.
Malgrado l’avvertenza che un eventuale passaggio di specie avrebbe avuto conseguenze estremamente serie, il governo UK continuò ad affermare che non c’era niente di cui preoccuparsi: "Non c’è evidenza di un qualsivoglia rischio per la salute umana" (Responsabile dei veterinari ufficiali). "La carne britannica è perfettamente idonea al consumo" (Ministro degli alimenti); "La carne bovina è sicura, come conferma il dipartimento di sanità" (pubblicità sui quotidiani a pagina intera degli industriali della carne). Queste dichiarazioni furono ripetute ancora nel ‘90 e nel ‘94.
Inizialmente agli allevatori fu offerto solo il 50% di rimborso per ogni caso denunciato, incoraggiandoli così ad evitare la denuncia e la macellazione dei capi sospetti. Non furono fatti esami dopo la macellazione per valutare l’incidenza dei capi malati. Un veterinario ufficiale che rifiutò di far passare carcasse sospette fu licenziato. Offerte di laboratori di sviluppare test per la BSE furono bloccati in favore di accordi privati con una ditta diretta da un parlamentare, che fallì nell’impresa. Ancora una volta il governo favorì l’industria ai danni del consumatore.
La perdita di fiducia nella produzione del cibo
Agricoltura
Le politiche agricole che incoraggiano la quantità sulla qualità si sono basate sempre più sulla tecnologia agrochimica per spingere la produttività
L’uso di pesticidi è aumentato in UE più di 10 volte tra 1973 e primi anni ‘90. All’inizio degli anni ‘80 c’erano sul mercato 45.000 diversi pesticidi formulati da 14.000 principi attivi. Di questi 600 erano d’uso comune, tuttavia, secondo l’accademia nazionale per le scienze USA, solo il 37% era stato adeguatamente testato, per i restanti non c’erano dati sufficienti o nessun dato che ne attestasse la sicurezza.
Un rapporto del 1985 riportò che dei 400 pesticidi d’uso comune in UK, 49 erano possibili cancerogeni, 61 sospetti, 90 possibili allergeni. Il 40 % dei 400 erano legati a potenziale rischio per l’uomo, e 39 erano banditi in altri paesi.
Nel 1985-86 un comitato parlamentare sull’agricoltura condannò la compiacenza governativa, denunciò, tra l’altro, che le registrazioni nazionali degli episodi di intossicazione da pesticidi non erano adeguate, non permettendo di identificarne l’origine e che mancavano studi sugli effetti sulla popolazione.
Rispetto agli alimenti, furono verificati il cattivo uso dei pesticidi, i controlli inadeguati, la necessità di metodi più sensibili per la determinazione dei residui, e, nel caso di residui importanti, la necessità della rintracciabilità per risalire alla fonte, allo scopo di verificare il corretto impiego.
Da tempo l’uso di determinati pesticidi è stato proibito e si è assistito ad una drastica riduzione del loro contenuto negli alimenti, anche se persiste la presenza di PCBs. I pesticidi e i PCBs potevano essere introdotti nell’alimentazione mediante tre vie: gli scarichi volontari o accidentali nell’ambiente di residui nella produzione industriale, il trattamento fitosanitario di frutta, verdura e semi e l’industria alimentare stessa.
Allo stato attuale, con ordinanze ministeriali, vengono periodicamente stabiliti i limiti massimi di residui di origine estranea nei vari tipi di alimenti.
In questo momento, in Italia, le acque del Lago Maggiore risultano ancora contaminate da pesticidi organoclorurati ed è proibito il consumo dei pesci del Verbano e di recente sono stati identificati residui di PCBs nel latte ad uso alimentare. Queste notizie non possono che provocare inquietudine nel consumatore.
In UE la responsabilità della promozione di produzioni agricole, della licenza all’uso dei pesticidi, del controllo della loro applicazione in sicurezza è compito dei Ministeri di Sanità e Agricoltura, ed inevitabilmente le loro decisioni sono in conflitto tra loro.
Allevamento animale
Sebbene l’argomento sia di secondaria importanza, perché i responsabili sanitari della UE hanno fortemente limitato la gamma degli antibiotici nell’allevamento animale e ne hanno stabiliti i LMR, la OMS ha messo in guardia contro l’uso di antibiotici nell’allevamento animale perché riduce la gamma di molecole a disposizione per la cura dell’uomo ed è stato criticato l’uso di antibiotici nell’allevamento per la aumentata resistenza del ceppo di S. typhimurium pt 104, che nell’uomo è il primo ceppo per importanza.
Ci sono prove costanti di trattamento improprio con clenbuterolo e derivati, farmaci beta agonisti usati legalmente per trattare le affezioni respiratorie di alcuni animali da reddito, ma illegalmente per aumentare la produzione di tessuto muscolare nel bovino. Il clenbuterolo si accumula nel fegato e fu causa di 135 casi di intossicazione in Spagna nel 90; i residui possono essere fatali a persone con malattie cardiovascolari. Si hanno prove di impiego in vari paesi europei in seguito ad intossicazioni verificatesi in Francia e in tre episodi in Italia. La pratica è illegale, ma chi li usa conta sull’aumento di profitto e sullo stoccaggio a lungo termine della carne.
L’uso di fonti alimentari diverse come mangime per bovini pone il consumatore di fronte all’interrogativo se il benessere animale debba essere sacrificato al profitto. Lavori "scientifici" hanno addirittura provato che i bovini preferiscono carta da macero senza inchiostro rispetto ad altre carte trattate.
Altre fonti alimentari inconsuete sono i miceti che crescono nelle acque di scarico delle fabbriche di carta; o i lieviti cresciuti su residui della lavorazione del petrolio; o la polvere dei cementifici somministrata quale apporto di Ca ed infine l’uso di letame riciclato nei mangimi.
La dispersione sui pascoli bovini della lettiera dei polli, incluso escrementi, penne e parti di animali, ha provocato diversi casi di botulismo animale in UK nel 1988 e poi nel ‘90.
La conoscenza di queste pratiche, sperimentali, provoca sconcerto ed ulteriore diffidenza.
Le farine di carne sono fonti di proteine animali concentrate ed incrementano i tassi di crescita e la produzione lattea. L’uso intensivo dei concentrati dall’inverno 81/82 fu incoraggiato, secondo una rassegna, per ottenere i più alti livelli di produzione lattea in UK prima della sua entrata nel 1984 nello schema CE delle quote latte.
Purtroppo l’evento BSE non solo ha rovinato il settore carni, ma ha rivelato ai consumatori alcuni fatti sulla produzione del bestiame rispetto ad allevamento, alimentazione, trasporto, macellazione e trasformazione della carne.
Negli ultimi anni i consumatori UE sono diventati molto più sensibili verso gli animali e guardando la TV hanno imparato molto sulle moderne tecniche d’allevamento. Hanno visto la superalimentazione di bovini e suini, come la crescita rapida dei polli possa provocare fratture agli arti sotto il peso del loro corpo, come lo sviluppo eccessivo del petto del tacchino provochi la necrosi del muscolo, come circa 2,5 milioni di polli muoiano ogni anno durante il trasporto al macello per ferite, soffocamento, shock.
Si potrebbe pensare che il benessere animale non abbia una diretta connessione con la sicurezza alimentare e la fiducia dei consumatori. Ma tali pratiche, oltre ad avere effetti negativi diretti sulla qualità delle carni, rivelano che il moderno allevamento non è quello delle immagini bucoliche, ma coinvolge lo sfruttamento su larga scala di animali con sofferenze eccessive e inutili e questo riflette il lato nascosto dell’industria.
La fornitura di cibo dall’industria alimentare ai consumatori è sentito come un atto di nutrizione da genitore a figlio, e se i consumatori assistono a pratiche brutali di allevamento non si sentono più sicuri che l’industria alimentare e zootecnica si preoccupino di loro e curino i prodotti; si sentono in definitiva traditi.
Il messaggio che giunge è che l’industria si preoccupa solo della quantità di denaro che può guadagnare.
In Italia, un esempio clamoroso è stato quello degli episodi dell’influenza aviare nel 1999, dove è apparso chiaro come fattori economici fossero i responsabili della moria di 8,8 milioni di polli, causata da un sottotipo virale H7 ad alta patogenicità, sebbene si disponesse della possibilità di produrre il vaccino specifico.
Perdita di fiducia nella trasformazione degli alimenti
Altri problemi possono trovarsi nelle fasi successive della catena alimentare. Qui ci si limita alla trasformazione della carne ed agli additivi.
Igiene della carne
Il problema principale al macello è come trattare un gran numero di carcasse dando sufficiente attenzione ad ognuna di queste, assicurandosi che nessuna carne infetta o contaminata passi al consumo umano.
Per le condizioni igieniche scarse e per la lunghezza del trasporto spesso gli animali arrivano sporchi. In teoria gli animali sporchi dovrebbero tornare al fornitore, ma in pratica ciò non avviene. Possono essere lavati, ma questo diffonde l’infezione potenziale su tutto il corpo e sul pavimento e, come aerosol, sulle superfici e carcasse.
Il personale può diffondere la contaminazione e così gli attrezzi. L’ispezione rallenta la linea e il personale del sezionamento, talvolta pagato a cottimo, preme per una maggiore velocità, con conseguente visita ispettiva incompleta.
Il rapporto Pennington dopo l’episodio di E coli 0157 del ‘96 in Scozia, identificò tra i problemi da risolvere prontamente l’inadeguato addestramento del personale, l’attenzione inadeguata ai rischi critici specifici del processo di macellazione, lo scarso controllo della diffusione di materiale fecale dall’intestino alla carne, osservazioni già fatte in precedenti rapporti.
Una recente ispezione della CE ha giudicato severamente la situazione globale dei macelli italiani, nonostante l’obbligo dell’autocontrollo
Con l’introduzione di questa prassi si sperava diventassero obbligatori i corsi professionali e che le autorizzazioni fossero preventive all’operatività, invece ciò non si è verificato.
Ancora una volta gli interessi dei produttori erano considerati più importanti della salute pubblica.
Additivi
I trasformatori ottengono il loro guadagno utilizzando materie prime e producendo qualcosa di commestibile. Le materie prime possono essere a loro volta componenti altamente trasformati, come amido modificato, proteine vegetali idrolizzate, e la ricetta è addizionata con coadiuvanti tecnologici e additivi. I consumatori diffidano degli additivi e forse hanno ragione perché in più del 90% dei casi l’additivo ha funzioni dubbie. Troppo spesso permettono di far credere migliore un cibo di bassa qualità, riducendo la qualità nutrizionale della dieta complessiva, permettendo, ad esempio, l’introduzione di grasso nascosto.
I coadiuvanti e gli additivi non hanno valore nutritivo ed il loro scopo è promuovere il consumo dei cibi nei quali sono introdotti, rendendoli attraenti, anche se i cibi sono poco o per nulla nutrienti.
Diversi ricercatori si dedicarono allo studio di additivi per creare gelati e farciture con grassi saturi e zuccheri, tipico esempio dell’applicazione degli additivi per produrre cibi di scarsa qualità nutritiva ma attraenti.
Forse il fatto più allarmante è la mancanza del principio di precauzione con i nuovi additivi. Gli aromatizzanti, che costituiscono ampia parte degli additivi, non sono soggetti a controlli sistematici e ci sono poche leggi restrittive sul loro uso.
Nel 1988, uno studio su 299 additivi permessi, diversi dagli aromatizzanti, trovò 25 casi di significativo rischio cronico. Nonostante la richiesta di riduzione del numero di additivi, l’armonizzazione CE ne ha fatto aumentare il numero a 410 (a parte gli aromatizzanti). Di questi 185 sono di sicurezza incerta perché non sono completamente testati, 56 a rischio per sottogruppi della popolazione, 74 possono causare allergie o provocare sintomi di intolleranza o provocare sintomi di intolleranza, 45 non poterono essere valutati perché i dati tossicologici erano coperti da eccezionale segretezza.
Composti di non provata sicurezza sono stati introdotti nei cibi mentre le ricerche erano in corso.
Per molti anni i vari comitati scientifici della CE sulla tossicità dei prodotti chimici negli alimenti e nell’ambiente hanno diviso gli additivi in categorie secondo la sicurezza. Il gruppo A comprende additivi considerati sicuri, il gruppo B accettabili in modo provvisorio, ma che necessitano di informazioni e revisione. Tutti e due i gruppi sono stati approvati per uso alimentare, dando il beneficio del dubbio ai produttori più che ai consumatori.
Con l’armonizzazione dei mercati CE, la regola generale è che un additivo approvato in uno stato può essere usato negli altri stati membri, accordo molto criticato dai consumatori perché consente il predominio degli standard peggiori.
In Norvegia, invece, la maggior parte degli additivi coloranti sono stati banditi dagli alimenti dal 1976 sulla base che una parte della popolazione (<1%) può avere reazioni di intolleranza. Nella CE in teoria si può usare tutta la gamma dei coloranti disponibile ai produttori. Anche gli aromatizzanti possono essere commercializzati nella CE senza prove sufficienti.
Le procedure scaricano al consumatore, e a coloro che agiscono nell’interesse pubblico, la responsabilità di provare che un additivo causa problema, mentre sarebbe compito del produttore dimostrare che un additivo è un componente necessario del prodotto e provare che è sicuro.
Etichettatura
Le norme europee hanno sottolineato la grande importanza dell’etichettatura per informare il consumatore su ciò che consuma, ma il risultato è inadeguato perché per certi cibi non è richiesta l’etichetta, come per le bevande alcoliche, i dolci sfusi ed i cibi distribuiti con il catering.
Altri problemi comprendono:
* figure ingannevoli sul contenuto, evidenzianti gli ingredienti più nutrienti;
* informazioni importanti a caratteri piccolissimi, in posizione nascosta e in colori poco contrastanti con lo sfondo;
* frasi che dichiarano di essere bassi in, leggeri, ridotti, le quali non chiariscono che il prodotto è ancora una fonte significativa dell’ingrediente, ed enfasi su quello che manca (ad esempio, 80% senza grasso) invece che indicarne la quota;
* uso di parole non legalmente definite come originale, tradizionale, naturale, intero, nutriente e anche scientificamente bilanciato;
* descrizione ambigua del cibo come, ad esempio carne tritata e cipolla dove l’ingrediente principale è carne di pollo recuperata meccanicamente e cibo per bambini definito pasto al tacchino con meno del 10% di carne;
* uso di frasi che confondono come sapore alle fragole (= senza fragole) comparate con aromatizzato alle fragole (= presenza di fragole) o semplicemente fragole (nei milk shake, dove il contenuto di fragole è sconosciuto).
Queste ed altre pratiche hanno un messaggio nascosto: i produttori stanno cercando di far comprare qualcosa, ma non sono semplici e onesti nel dire quello che davvero vendono, ma queste pratiche non devono sorprendere perché ciò esiste da quando è nato il commercio. Tuttavia ciò crea ulteriore sfiducia.
Se ci si basa sull’etichettatura piuttosto che su leggi restrittive, allora i consumatori devono ricevere le informazioni che desiderano. Anche Reagan, difensore del libero mercato, riteneva essenziale che il consumatore fosse consapevole e quindi libero di fare scelte informate.
Dal canto loro, i produttori sostengono l’impossibilità di fornire tutte le informazioni in una piccola etichetta, dove è già scritto molto.
Perdita di fiducia nel marketing
Oltre alle etichette i produttori hanno a disposizione una serie di mezzi per commercializzare i prodotti: pubblicità TV, stampati nei negozi, brochure nelle sale d’attesa dei medici, personale vestito come infermiere nelle maternità ecc. Questo non è illegale, ma a molta pubblicità non fa seguito un aumento di fiducia.
Perdita di fiducia nella tecnologia
Ci limiteremo all’aspetto più attuale, quello dell’irradiazione.
Dubbi legittimi sul valore del cibo irradiato sono stati sollevati da molte associazioni di consumatori rispetto a sicurezza, necessità, abuso, qualità, valore nutritivo, igiene, etichettatura, controllo degli stabilimenti, applicazione e impatto economico.
La irradiazione degli alimenti in Europa fu proposta e sostenuta soprattutto dal comitato governativo del Regno Unito.
I sospetti che ci fossero enormi interessi per questa nuova tecnologia furono confermati quando si scoperse che il consigliere del comitato governativo per gli alimenti irradiati era il direttore marketing e maggiore azionista di una azienda che possedeva l’impianto di irradiazione più grande in UK.
Inoltre il presidente dello stesso comitato era direttore part-time di una delle maggiori aziende inglesi di isotopi, probabile fornitore di impianti di irraggiamento.
Rispetto agli OGM, cibi o ingredienti, la tecnologia spinge il mercato e gli investimenti massicci delle multinazionali devono avere un ritorno con il guadagno di ampie fette del mercato.
Le preoccupazioni dei consumatori e le incertezze scientifiche sono ridotte a questioni legali, se un paese possa o meno legittimamente bandire l’importazione sulla base di una minaccia alla salute.
Se l’industria biotecnologica fosse solo un altro aspetto della produzione, gli errori che fa potrebbero essere considerati parte accettabile del suo sviluppo. Ma i prodotti delle biotecnologie sono organismi viventi che possono riprodursi e disperdersi e se avvengono errori non possono essere ritirati come un qualsiasi prodotto difettoso.
Dopo l’impiego in esperimenti di campo dell’OGM Bradyrhizobium japonica, m.o. che fissa azoto, si trovò che questo, inaspettatamente, competeva contro ceppi indigeni e che la conseguente aratura del campo lo disperdeva su diversi acri. Cioè si capì che anche con sperimentazioni pianificate e studiate a fondo su organismi ben noti e con esauriente letteratura scientifica, si possono ottenere risultati non prevedibili.
Nel 97 una linea non testata di rapa OGM fu trovata diffusa nel Canada occidentale; una quantità corrispondente al raccolto di 600000 acri non fu controllata per l’idoneità al consumo umano e animale e dovette essere ritirata, con un costo di 12 milioni di dollari più 24 milioni di mancata vendita. Non si capì come si fosse potuto vendere il seme non testato, ma si rispose che avvengono incroci per diverse centinaia di linee e controllarli a tutti gli stadi sarebbe stato troppo costoso anche in termini di tempo.
Una soia con il gene della noce brasiliana possedeva l’allergenicità della noce per i soggetti sensibili. In questo caso la specie donatrice era nota come allergene e così i controlli furono fatti. Ma la maggior parte delle ditte biotecnologiche usa microorganismi piuttosto che piante come donatori di geni, anche se il potenziale allergizzante di queste proteine microbiche di nuova introduzione è incerto, non prevedibile e non controllabile.
Uno dei primi prodotti della bioingegneria genetica fu la somatotropina bovina BST, l’ormone che fa aumentare la produzione lattea e bandito da CE. I primi esperimenti condotti in UK nel ’86 - ‘87 furono fatti segretamente, il governo rifiutò di dire dove, e peggio, il latte prodotto fu aggiunto alla fornitura nazionale di latte. Non si tentò di tenere traccia del latte, né di etichettarlo.
Il latte era più ricco di grasso e conteneva alti livelli del fattore di crescita tipo-insulina IGF-1 e aumentava il rischio di mastiti nelle vacche più sfruttate.
Il beneficio fu l’aumento del 20% della produzione lattea senza avere un numero maggiore di animali, ma l’immagine data fu pessima, tanto che gli operatori videro la futura approvazione con molte riserve.
L’ultimo esempio riguarda la soia OGM Roundup Ready , che non è stata testata a fondo.
La soia, definita dall’azienda produttrice non significativamente diversa dalla naturale, è stata prodotta per resistere all’erbicida Roundup della stessa azienda. I test sottoponevano le due forme in identiche condizioni di crescita, ma non era un vero test in vivo, perché nella realtà la soia sarebbe cresciuta in presenza di Roundup, che uccide le piante normali.
Tre anni dopo l’approvazione si scoprirono nella soia trattata con Roundup livelli più alti di fitoestrogeni. Queste sostanze sono molto controverse, specie se presenti nelle formule di latte di soia per lattanti; il bambino, per il basso peso corporeo e l’alto livello di consumo, può introdurre con il latte livelli di estrogeni superiori a quelli aventi effetti riproduttivi negli adulti.
La fiducia dei consumatori diminuisce a seguito delle decisioni prese dalle grandi aziende che producono i cibi OGM, specialmente se le stesse aziende rifiutano di tenere separati i prodotti normali dagli OGM, rendendoli difficilmente riconoscibili.
Perdita di fiducia nella scienza
Talvolta si ritiene che la protezione pubblica consista solo nell’applicare bene la scienza, cioè valutare i prodotti per i loro possibili rischi e rimandare i risultati al produttore in modo che possa migliorare i propri metodi di produzione. La salute e la sicurezza sono le prime priorità di qualsiasi sistema di produzione degli alimenti e la razionale applicazione della scienza dovrebbe assicurare il minimo rischio e la possibilità di ricorrere a provvedimenti correttivi.
Sfortunatamente, il punto di vista scientifico non è uno solo, i ricercatori non hanno la stessa opinione, per certi il rischio potrebbe essere scarso, per altri grave. Quello che per qualcuno è accettabile per un altro no, anche a parità di dati analitici.
Con i dati disponibili ad una certa data un esperto può fare raccomandazioni inadeguate o aprirsi a diverse interpretazioni, con la necessità di proseguire gli studi per arrivare a dati conclusivi.
Ma spesso, per necessità, il comitato di esperti deve prendere provvedimenti subito, ed è forzato a dare definizioni prematuramente, prima che un possibile pericolo si diffonda.
Talvolta le risorse non sono disponibili e le indagini scientifiche non sono adeguate a testare i rischi potenziali di un processo.
Talvolta manca il controllo del prodotto nella pratica, o si presta scarsa attenzione allo sviluppo di effetti collaterali. I prodotti sono spinti sul mercato senza adeguate prove nell’uso quotidiano. I componenti sono provati isolati e non in combinazione.
Questi fallimenti sono più frequenti di quanto non si voglia ammettere, ma non sono aberrazioni, bensì sono insiti nella natura commerciale del settore alimenti. I produttori non vogliono spendere soldi senza necessità, ma vogliono finanziare il minimo di ricerca necessaria ad essere in regola con le leggi per l’approvazione di un prodotto: perché spendere di più?
Né la scienza è dedita solo alla sicurezza pubblica.
La scienza spesso cede a favore di altre priorità, altre volte è usata per supportare l’introduzione di nuove tecnologie che hanno pochi vantaggi e portano rischi sconosciuti. In queste circostanza la neutralità della scienza e delle autorità perde in credibilità.
Chi sceglie gli obiettivi della scienza? Chi indirizza la scienza? Chi investe nelle attività scientifiche? Chi determina i finanziamenti? Chi paga gli stipendi dei ricercatori? Dove devono andare gli scienziati se vogliono sviluppare i loro progetti, ottenere apparecchiature, finanziare nuovi ricercatori?
La scienza non è libera da limiti; gli scienziati si trovano a fronteggiare continuamente scelte soggette a diverse pressioni commerciali, politiche, legali, di categoria, ma più spesso i valori sono quelli dei finanziatori. La sicurezza alimentare non si basa solo sulla buona scienza, ma è piuttosto un riflesso della lotta di interessi in conflitto del commercio, politici, personali e sociali. Troppo spesso la buona scienza è il risultato casuale di questa lotta.
Perdita di fiducia nella legge
I dubbi sulla funzionalità della legislazione sugli alimenti possono essere riassunti in pochi esempi.
Molte norme non sono messe in pratica come leggi, ma come linee guida per l’industria e codici di comportamento. In certi casi, i codici possono essere citati nei tribunali come standard, sotto i quali i prodotti non devono andare. In altri casi i codici sono interamente discrezionali.
Un esempio di scarsa protezione pubblica per la mancanza di leggi è l’etichettatura degli hamburgher surgelati e delle salsicce fresche
Ad esempio, già da diversi anni gli esperti avevano avvisato i consumatori di assicurarsi che le carni bovina e suina tritate fossero ben cotte prima del consumo e fu raccomandato di indicare in etichetta il consumo del prodotto solo dopo completa cottura. Soltanto nel ’96, per il rapido aumento dell’incidenza dei casi di tossinfezioni da E. coli H 0157H7 in UK, il governo britannico decise di adeguare le etichette come consigliato. Questo ritardo comportò un danno ulteriore al consumatore e all’immagine dei prodotti.
Un esempio di legge debole si ha quando, dopo molte discussioni e consultazioni, magari durate più anni, sono introdotti nuovi standard e all’industria è concesso un altro periodo di tempo per uniformarsi e smaltire le scorte.
Si potrebbero addurre altri esempi, dove l’industria aspetta l’ultimo minuto per fare le modifiche richieste, dimostrando che il benessere del consumatore vale meno dei profitti. Inoltre, quando le leggi vengono introdotte, si studia il modo di aggirarle.
Forse il peggiore aspetto della legge che dovrebbe proteggere il consumatore dall’inganno, dalla frode e dalla non rintracciabilità del prodotto, è l’esenzione dalle leggi dei "prodotti agricoli primari". Poiché i passaggi commerciali rendono difficile, se non impossibile, la rintracciabilità del prodotto, la CE ha a lungo permesso ai produttori agricoli di sfuggire alle leggi. È un esempio del fatto che le pratiche commerciali hanno forza sufficiente di esentare i produttori dalle responsabilità per i loro prodotti.
Finlandia, Grecia, Lussemburgo e Svezia hanno già optato per estendere il campo dell’obbligo ai prodotti agricoli primari e UE sta lavorando per estendere l’obbligo a tutti gli stati membri. Ci sono state obiezioni, ma dopo la BSE si è agito senza ritardo.
Nel caso dei prodotti dell’ingegneria genetica, il produttore, a sua difesa, potrà appellarsi al fatto che, al momento della messa in commercio, non erano disponibili gli strumenti tecnologici atti ad identificare i rischi per il consumatore, e toccherà al consumatore danneggiato provare che il prodotto era a rischio. Ancora una volta è evidente che il rischio è del consumatore, ma i benefici sono del produttore.
Un altro problema della presente direttiva è l’esistenza di un limite di 10 anni per i reclami. Nel caso di semplice tossinfezione alimentare il limite è sufficiente, ma nel caso di una malattia a lenta incubazione, come nvCJD, occorrono più di 10 anni per dimostrare che il danno è avvenuto. Può essere difficile dimostrare il legame diretto con un prodotto specifico, ma questo è un problema secondario al problema del limite di tempo.
Anche nel caso degli OGM potrebbero essere necessari più di 10 anni per stabilire una responsabilità, anche se è molto chiaro quale sia stata la causa specifica.
Un caso diverso, unico, che ha tutelato i consumatori anche in assenza di una evidenza scientifica definitiva è quello avvenuto dopo il bando da parte della CE nel 1986 degli ormoni promotori di crescita nella produzione bovina. Le compagnie farmaceutiche ricorsero in appello alla corte di giustizia europea per rimuovere il bando; nel novembre 90 la corte rispose che EC e il Consiglio Europeo avevano diritto a mantenere il bando nell’interesse dei consumatori senza attenersi ai dati scientifici disponibili, comprovanti l’innocuità degli ormoni naturali.
Perdita di fiducia nei comitati degli esperti
Abbiamo già segnalato vari esempi di conflitti d’interesse tra i membri dei comitati di esperti.
Non è irragionevole stabilire che chi subirà le decisioni del comitato possa partecipare alle deliberazioni, ma non sia membro votante. L’indipendenza di un comitato è la sola garanzia che il suo consiglio sia totalmente imparziale e libero da interessi di parte. I dipendenti dei ministeri non dovrebbero essere ammessi al voto. Né dovrebbe votare chi ha interessi commerciali, sebbene la sua esperienza possa essere utilizzata, e altri gruppi interessati dovrebbero essere invitati a commentare e a sottoporre i loro punti di vista.
Ad esempio, uno studio sui membri dei comitati di consiglio UK sugli alimenti e salute condotto nel periodo 74-87, dimostrò che su 274 persone con diritto di voto, 135 avevano legami con l’industria, altre 36 erano impiegati del ministero coinvolto. I 171 in conflitto di interessi occupavano 313 posti dei 427 del comitato di consiglio.
Un’altra indagine dimostrò che 20 industrie alimentari mandarono 49 consiglieri occupanti 81 posizioni nel comitato. Una delle maggiori compagnie inviò 12 persone a occupare 20 posti.
Un’altra indagine rivelò che di 15 membri di esperti di un comitato, 5 avevano stipendi pagati da compagnie alimentari, quattro erano consulenti di industrie alimentari, uno era direttore scientifico di una fondazione finanziata dall’industria, due, incluso il presidente, ricevevano fondi per la ricerca dall’industria alimentare e due erano ispettori ufficiali degli alimenti senza interessi commerciali dichiarati.
È difficile in questa situazione credere che sia tutelato l’interesse del consumatore ed è un evidente caso di enti che dovrebbero dare regole e che invece sono sotto l’influenza di chi dovrebbe essere sottoposto alle regole.
Il fenomeno non è solo inglese. Conflitti di interesse sono ben noti a livello internazionale e la più vecchia associazione, il Codex Alimentarius, è stato oggetto di molti reclami per i legami con l’industria e la mancanza della rappresentanza dei consumatori.
Le riunioni del Codex sono aperte ai 197 paesi membri (che mandano delegazioni e hanno un voto per paese) e 111 organizzazioni non governative (NGO) invitate come osservatori e senza diritto di voto. Questi 111 osservatori NGO includono rappresentanti di oltre 100 gruppi finanziati dall’industria, alcune fondazioni su alimenti e nutrizione ed un gruppo di consumatori. Le delegazioni nazionali possono includere anche membri dell’industria: per esempio, la delegazione USA alla riunione del giugno 95 era composta da 27 delegati, dei quali 14 ufficiali del governo, 12 con interessi commerciali, uno rappresentava interessi pubblici. Al convegno del ‘97, la delegazione USA comprendeva rappresentanti di 8 dipartimenti governativi, 3 NGO di pubblico interesse e 10 gruppi finanziati dall’industria.
Quando definì i principi secondo i quali prendeva le sue decisioni, l’intero Codex dichiarò che i suoi standard erano basati su "sana scienza" con riguardo alla protezione della salute del consumatore e alla promozione di pratiche leali nel commercio alimentare.
Queste affermazioni sono state contestate perché mancavano di riconoscere che la scienza non è assoluta, che le decisioni dovrebbero essere basate anche sul principio di necessità, che il principio di precauzione dovrebbe essere sovrano quando c’è qualche dubbio sulla sicurezza.
La mancanza di requisiti di etichettatura per alimenti con ingredienti OGM, privando il consumatore di una scelta consapevole, l’accettazione di standard commerciali per residui di pesticidi e ormoni nella carne, sono esempi che hanno allarmato particolarmente le NGO, le quali reputano che il Codex non assicuri pratiche leali o decisioni secondo il principio di precauzione.
Accanto al conflitto d’interesse delle agenzie, c’è il problema degli stretti legami tra enti che devono porre regole e chi deve seguirle, particolarmente se lo stesso personale va da uno all’altro, dall’industria agli uffici del governo e indietro all’industria, per esempio. Ci sono esempi di personale di multinazionali USA che poi hanno fatto parte della FDA per lavorare a leggi riguardanti prodotti di multinazionali, o membri FDA a cui sono stati offerti lavori molto ben pagati in trattative correlate agli alimenti, poco dopo aver preso decisioni a favore di queste. Anche più allarmante è la possibilità che dipendenti statali partecipino ad attività industriali mentre ricoprono cariche ufficiali.
Il futuro
Nonostante tutto, c’è ancora una certa fiducia nella scienza. Ci sono ricercatori che riescono a resistere alle tentazioni dell’industria. Ma la scienza ha bisogno di un po’ di umiltà, di accettare risultati inattesi che possono presentare problemi, aprendone altri.
La scienza si deve dissociare dalla necessità dell’industria alimentare di reinventare nuovi prodotti solo per guadagnare quote di mercato. La scienza deve invece trovare strade per produrre alimenti necessari e salubri senza danneggiare quello che è già presente; deve cambiare la mentalità ed essere rispettosa della complessità dei sistemi reali e dei loro processi.
I principi di precauzione devono essere alla base di ogni decisione. È necessaria la netta divisione degli interessi, tra industria e aziende di promozione da un lato e le autorità legislative, gli ispettori, gli enti che rilasciano licenze dall’altro.
Anche i produttori stessi devono cambiare se vogliono che il rapporto con il consumatore sia di maggiore fiducia, promuovendo forme di produzione che rispettino l’ambiente, che assicurino una produzione sostenibile senza impoverimento delle risorse, che non allontanino il produttore dal prodotto e dai clienti, o che mettano i consumatori in opposizione al produttore.
Liberamente tratto e modificato da Tim Lobstein, The Food Commission and the Food Information Trust, London: Why Consumers Have Lost Confidence in the Food Industry, in International Food Safety handbook, eds. Van der Heijden, Younes, Fishbein, Miller, Marcel Decker, Inc. New York — Basel.
Bibliografia
Jaillette Jean-Claude, Il cibo impazzito. Il caso europeo della contraffazione alimentare, trad. it. Matteo Schianchi, Ed. Feltrinelli, Milano, 2001
Mae-Wan Ho, Ingegneria genetica: sogno o realtà?, Ed. Derive-Approdi, Roma, 2001